Atto di Destinazione (o Trust) per pagare Debiti: è Revocabile?

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Atto di Destinazione (o Trust) per pagare Debiti: è Revocabile?

Atto di Destinazione Autodichiarato stipulato per pagare dei Debiti

Tizia, indebitata con una banca, stipula un atto di destinazione ex articolo 2645–ter cc autodichiarato avente ad oggetto i due immobili di cui ella è proprietaria, del quale sono beneficiarie sua figlia e sua nipote: la finalità dichiarata nell'atto è, infatti, quella "di rimborsare ai predetti familiari quanto da loro anticipato per spese inerenti l'istruzione professionale e scolastica".

L'Azione Esperita dalla Banca creditrice della Disponente

La banca propone azione revocatoria contro tale atto, perché Tizia non ha altri beni utilmente aggredibili, coinvolgendo nel giudizio sia Tizia che una delle beneficiarie (la figlia Caia).

Caia eccepisce di non essere legittimata passiva rispetto a tale azione.

La disponente Tizia eccepisce che la domanda della banca non può essere accolta poiché l'atto da ella stipulato è immune da revocatoria: si tratta infatti  a suo avviso  di un atto avente una causa "solutoria", cioè finalizzato all'adempimento del suddetto debito di rimborso verso la figlia e la nipote (l'articolo 2901 terzo comma cc, infatti, prevede che "non è soggetto a revoca l'adempimento di un debito scaduto").

La domanda della banca viene accolta sia dal tribunale di Piacenza che dalla Corte d'Appello di Bologna, sì che Tizia e Caia ripropongono le loro doglianze anche innanzi alla Cassazione, la quale però, con la sentenza n°29727 del 15 novembre 2019, le respinge con la motivazione che segue.

  1. La banca ha correttamente deciso di coinvolgere nel giudizio anche Caia, poiché quest'ultima - essendo beneficiaria dell'atto di destinazione impugnato - avrebbe potuto ricevere pregiudizio dalla sentenza revocatoria: in tal caso, infatti, la banca avrebbe potuto pignorare i beni destinati, precludendo il loro utilizzo a vantaggio di Caia.

    Tanto premesso, va riconosciuto sia il diritto di Caia di intervenire spontaneamente nel giudizio, sia l'interesse della banca a coinvolgerla in esso, unitamente alla disponente Tizia, per rendergli opponibili gli effetti della sentenza.   

  2. Non si può ritenere che l'atto di destinazione in questione abbia una causa solutoria, in quanto tale atto non menziona una specifica obbligazione della disponente Tizia nei confronti delle beneficiarie e che ella, mediante esso, intendeva adempiere, ma fa un generico riferimento ad una finalità di rimborso di spese non meglio precisate.

    Di conseguenza, l'atto non può che ritenersi espressione di uno spirito di liberalità della disponente nei confronti di suoi familiari ed è dunque un atto gratuito: come tale, esso è stato correttamente ritenuto revocabile stante l'evidente consapevolezza di Tizia di rendersi, mediante la sua stipula, insolvibile (i beni destinati, infatti, sono rimasti in proprietà di Tizia, ma ella vi ha impresso un vincolo a favore delle beneficiarie il quale, finché non viene rimosso con sentenza revocatoria, preclude al creditore l'azione esecutiva).

Conclusioni

La vicenda in esame mostra quanto scrupolo debba essere impiegato, in sede di redazione di un atto di destinazione (ma lo stesso discorso vale anche in tema di trust), nel descrivere la causa del negozio, cioè la finalità che esso deve realizzare.

In particolare, se il disponente non intende compiere una liberalità nei confronti dei beneficiari, ma estinguere debiti nei loro confronti, occorre precisare di quali debiti si tratta, perché il generico riferimento all'esistenza di situazioni debitorie potrebbe rivelarsi insufficiente.

L'eventuale qualificazione dell'atto come atto a titolo gratuito, fra l'altro, espone non solo al rischio di una revocatoria che, di regola, non presenta grosse difficoltà per un eventuale terzo titolare di un credito preesistente all'atto, ma anche a quello di subire direttamente il pignoramento dei beni destinati: nell'anno successivo alla trascrizione dell'atto di destinazione o del trust, infatti, un siffatto creditore – se munito di titolo esecutivo – potrebbe pignorarli avvalendosi dell'articolo 2929–bis cc.

 Avvocato Saverio Bartoli, Firenze

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