Il trust autodestinato è il trust in cui disponente ed unico beneficiario sono il medesimo soggetto (è dunque il trust istituito "a favore di se stesso").
Esso non va dunque confuso (come purtroppo accade spesso) con il trust "autodichiarato", in cui disponente e trustee sono il medesimo soggetto.
Occorre chiedersi se (ed in quali limiti) sia o meno ammissibile un trust autodestinato.
Appare ovvia, in primo luogo, l'inammissibilità di un trust sia autodichiarato che autodestinato, poiché il disponente non può essere, al tempo stesso, anche trustee ed unico beneficiario di un trust.
Si pensi al seguente esempio: Tizio si dichiara trustee di un immobile di sua proprietà e, secondo le disposizioni contenute nell'atto istitutivo:
esso, durante la vigenza del trust, dovrà essere dal trustee locato a terzi per poi attribuire i canoni percepiti al disponente nella misura via via necessaria a consentirgli il mantenimento del suo attuale tenore di vita;
alla fine del trust, esso resterà in proprietà del disponente, libero dal vincolo destinatorio.
L'impossibilità di stipulare un negozio del genere discende dal fatto che il trust dà vita ad un rapporto obbligatorio fra trustee e beneficiario ed in questo caso esso vede il medesimo soggetto (cioè il disponente unico beneficiario) nel ruolo, al tempo stesso, di creditore e di debitore della prestazione (si veda l'art.1253 cc).
Merita invece adeguata riflessione la diversa ipotesi in cui il trustee sia un soggetto diverso dal disponente, come accade laddove, nell'esempio di cui sopra, Tizio abbia individuato quale trustee Sempronio: si tratta, dunque, di un trust autodestinato, ma non anche autodichiarato.
Negli ordinamenti di common law un trust del genere è di regola considerato ammissibile, poiché si considera degno di essere tutelato il disponente che, senza alcun intento fraudolento, desideri proteggere i suoi beni da aggressioni esterne senza però rinunziare a godere di essi.
In Italia l'approccio al problema appare invece del tutto diverso, perché l'istituto del trust tende ad essere valutato - prima di tutto dall'Agenzia delle Entrate - con notevole diffidenza.
Occorre dunque muoversi con estrema prudenza ed utilizzare l'autodestinazione solo in fattispecie nelle quali risulti evidente il perseguimento di finalità particolarmente apprezzabili e/o che non potrebbero essere realizzate facendo ricorso a diversi strumenti negoziali.
È il caso, ad esempio, del trust autodestinato istituito da soggetti incapaci, il quale ha già ripetutamente incontrato la valutazione positiva della nostra giurisprudenza.
È il caso, altresì, del trust istituito da soci di una società con funzione di patto parasociale.
Si pensi al seguente esempio: Tizio, Caio e Sempronio, soci della Alfa s.p.a. assieme ad altri soggetti, istituiscono un trust trasferendo al trustee Mevio le rispettive partecipazioni azionarie (si ipotizza che eventuali clausole di prelazione e/o gradimento non siano applicabili a tale fattispecie).
Il trust, della durata di 5 anni, servirà a svolgere le funzioni di un sindacato di blocco e di voto, assicurando una rilevanza reale - e non meramente obbligatoria - alle pattuizioni parasociali dei tre disponenti, i quali, al termine del quinquiennio, si vedranno ritrasferire dal trustee le rispettive azioni.
Inutile evidenziare che gli esempi suddetti non realizzano alcuna liberalità, poiché non danno vita ad impoverimento alcuno in capo ai disponenti: sarebbe dunque a dir poco temeraria l'eventuale pretesa dell'Agenzia delle Entrate di tassarli come donazioni (e magari - com'è già talvolta accaduto - con applicazione dell'aliquota massima dell'8%, poiché il disponente-beneficiario non è....parente di se stesso!!!).
Posizioni del genere, fortunatamente, tendono ormai ad essere respinte dalla più recente giurisprudenza della Cassazione.
Avvocato Saverio Bartoli, Firenze