Come risulta dall'art.768-bis cc, il patto di famiglia è "il contratto con cui, compatibilmente con le disposizioni in materia di impresa familiare e nel rispetto delle differenti tipologie societarie, l'imprenditore trasferisce, in tutto o in parte, l'azienda, e il titolare di partecipazioni societarie trasferisce, in tutto o in parte, le proprie quote, ad uno o più discendenti".
Secondo l'art.768-quater cc, inoltre:
al contratto devono partecipare, oltre all'imprenditore, tutti coloro che ne sarebbero legittimari ove in quel momento si aprisse la sua successione;
gli assegnatari dell'azienda o delle partecipazioni societarie devono liquidare gli altri partecipanti al contratto (salvo che essi vi rinunzino) pagando loro una somma corrispondente al valore della quota di legittima che a costoro spetterebbe su detti beni.
La funzione del patto di famiglia è, in estrema sintesi, quella di attuare il passaggio della titolarità dell'impresa quando l'imprenditore è ancora vivo ed evitando future liti successorie (l'ultimo comma dell'art.768-quater cc, infatti, precisa che "quanto ricevuto dai contraenti non è soggetto a collazione o a riduzione").
Mediante un patto di famiglia, l'imprenditrice Tizia aveva trasferito le propria partecipazione azionaria nella Alfa s.p.a. al figlio Caio e quest’ultimo aveva liquidato con una rilevante somma i diritti di legittimaria della propria sorella Sempronia su detta partecipazione.
In sede di registrazione dell’atto, il notaio aveva ritenuto che tale pagamento fosse assoggettato all'imposta di donazione prevista per i trasferimenti tra parenti in linea retta (con aliquota, dunque, del 4% sul valore eccedente la franchigia di euro 1.000.000,00): ciò in quanto esso, come la donazione delle azioni effettuata da Tizia in favore di Caio, serviva ad attuare lo scopo del patto di famiglia (cioè assicurare la successione nell'impresa di cui Tizia era titolare) e costituiva, pertanto, una donazione indiretta (perché eseguita da costei per il tramite di Caio) da parte di Tizia a Sempronia.
L'Agenzia delle Entrate, però, aveva applicato a detto pagamento il regime previsto per le donazioni fra fratelli (con aliquota, dunque, del 6% sul valore eccedente la franchigia di euro 100.000,00), valorizzando la circostanza che il passaggio del denaro era avvenuto fra Caio e Sempronia.
In sede di contenzioso tributario, sia la CTP di Lecco che la CTR della Lombardia avevano accolto la tesi del contribuente.
La Corte di cassazione, invece, ha accolto la tesi dell’Amministrazione finanziaria, ritenendo legittimo l’avviso di liquidazione notificato dall’ufficio territoriale.
In particolare, i giudici della suprema Corte hanno evidenziato che il denaro attribuito alla legittimaria Sempronia proveniva dal fratello Caio e non dalla madre Tizia.
Il principio di diritto enunciato dalla decisione in esame risulta applicabile anche nell'ipotesi in cui il patto di famiglia venisse attuato da Tizia mediante un trust ed il figlio Caio (assegnatario delle azioni e dunque beneficiario finale di esse) tacitasse i diritti di legittimaria su di esse vantati da Sempronia versandole una somma di denaro corrispondente al valore dei medesimi).