Tizio è proprietario di terreni edificatori e, se li vendesse, realizzerebbe una rilevante plusvalenza soggetta, pertanto, alla relativa imposta ex artt.67 e 68 del TUIR.
Egli istituisce un trust familiare, trasferendo i terreni al trustee Caio: beneficiari del trust (destinato a durare 30 anni) sono Sempronio e Mevio, figli del Disponente, in parti uguali, e l'atto istitutivo prevede espressamente che il trustee Caio ha il potere di vendere i beni in trust, investendo il relativo ricavato.
Pochi mesi dopo, il trustee Caio vende tali terreni a vari soggetti, realizzando una plusvalenza - e quindi pagando un'imposta ad essa relativa - di importo inferiore a quello che vi sarebbe stato se li avesse direttamente venduti Tizio.
In una situazione del genere, potrebbe l'Agenzia delle Entrate contestare la violazione dell'art.37 terzo comma del D.P.R. n°600 del 1973, cioè un illecito risparmio d'imposta mediante interposizione di persona?
Utili spunti di riflessione al riguardo potrebbero essere offerti da una recente sentenza della Cassazione (la numero 26947 del 26 novembre 2020), relativa ad una fattispecie similare in cui due coniugi (Tizio e Tizia) avevano donato nell'ottobre del 2000 ai loro due figli dei terreni e costoro, nel gennaio e nel marzo del 2001, li avevano venduti a terzi pagando un'imposta sulla plusvalenza realizzata d'importo inferiore a quella che sarebbe, invece, gravata sui coniugi in caso di vendita diretta dei terreni da parte loro.
In quella vicenda i contribuenti sono riusciti a prevalere sull'Agenzia delle Entrate (la quale invocava - appunto - l'applicazione dell'art.37 terzo comma del suddetto D.P.R.) sia in primo grado che in appello ed anche la Corte di Cassazione ha dato loro ragione, respingendo il ricorso presentato dall'Agenzia con la seguente motivazione:
"L'assunto della Agenzia delle entrate è che, attraverso il collegamento tra la donazione e la successiva vendita a terzi, i donanti, in realtà, non abbiano versato quanto da essi dovuto se avessero proceduto alla vendita dei terreni direttamente nei confronti dei terzi. Infatti, notevole era la differenza tra il valore dei terreni al costo di acquisto e quello al momento della vendita, con una plusvalenza per Tizio di lire 532.266.784 e per Tizia di lire 166.089.457, con imposte in astratto dovute rispettivamente per lire 172.897.000 e per lire 45.126.000. Utilizzando lo schema negoziale delle donazioni con vendite successive da parte dei donatari, la plusvalenza, ossia la differenza tra il valore dei beni ricevuti in donazione ed il valore degli stessi beni venduti a terzi era di lire 102.246.000, con una imposta pagata dai donatari di lire 31.813.000. Per l'Agenzia, quindi, l'operazione complessiva aveva il fine esclusivo di evitare che i donanti dovessero dichiarare la plusvalenza che avrebbero realizzato vendendo direttamente i terreni ...
La motivazione del giudice di appello si rivela congrua e sufficiente, in quanto, alla stregua dei principi stabiliti da questa Corte in materia, nell'ambito di una fattispecie in cui i genitori hanno donato i beni ai figli, che poi, dopo qualche mese hanno ceduto a società terze, ha, da un lato, indicato come finalità dell'operazione una pianificazione familiare ("razionalizzazione fiscale del loro patrimonio"), e dall'altro, valorizzato quale elemento di fatto decisivo la plusvalenza comunque realizzatasi con la successiva vendita. Infatti, i figli donatari non hanno ceduto i terreni per un corrispettivo identico al valore delle donazioni ricevute, ma ad un prezzo maggiorato. I terreni sono stati donati per il valore di lire 350.000.000 ciascuno (lire 700.000.000 complessivi) e sono stati venduti a tre società diverse per la somma complessiva di lire 853.000.000 (250 milioni + 202 milioni + 401 milioni), con una plusvalenza di lire 102.246.000, in regione della detrazione delle spese di acquisto, su cui è stata pagata l'Irpef per lire 31.813.000. La Commissione regionale, sul punto, ha osservato che "i donatari non sono stati esentati dalla tassazione, perché hanno assoggettato a tassazione la differenza tra il valore della donazione e i corrispettivi percepiti dalla vendita degli immobili", aggiungendo che "i donatari hanno dichiarato e pagato una plusvalenza di € 50.000", sicché non vi poteva essere da parte dei donanti "conoscenza del prezzo che sarebbe stato realizzato con la vendita dopo la donazione".
La sentenza, inoltre, ha valorizzato:
il fatto che, negli anni 2000 e 2001 (cioè nello stesso periodo della donazione e della vendita oggetto di lite), i coniugi Tizio e Tizia avevano effettuato anche quattro vendite di loro immobili (e ciò dimostrava la loro esigenza di sistemazione del patrimonio familiare),
il fatto che non erano "stati individuati altri indizi idonei a dimostrare l'imputazione del reddito, derivante dalla plusvalenza per la cessione dei terreni, in capo ai genitori donanti, quali il versamento di acconti al donante o la partecipazione di questi alle trattative per la vendita (Cass.Civ., 6276/2018; Cass.Civ., 17128/2018, dove si afferma che pure le trattative condotte da soggetti diversi dai donatari o dallo stesso donante costituiscono elemento perfettamente compatibile con il negozio di donazione)".